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mercoledì 24 novembre 2010

L'ultima poppata

Quando ho deciso di avere figli l'ho fatto seguendo un'istinto vecchio come la notte dei tempi, ma non mi sono gettata a capofitto nell'impresa ignorando a cosa andavo incontro.
Prima di auto-convincermi che potevo farcela ho preso un appuntamento con la mia ginecologa (che allora mi era ancora sconosciuta) ed ho approfondito il mio stato di salute.
Uscendo dall'ambulatorio mi sono fermata ad un'edicola per acquistare una di quelle riviste traboccanti di pancioni e mamme felici, e per condire il tutto ho parlato con un'ostetrica.
Durante la gravidanza ho seguito un  corso preparto che mi insegnasse ad affrontare quel magnifico ma difficile momento, e per ultimo ma più importante mi sono sorbita svariate lezioni sull'allattamento.
Tale argomento l'ho, inoltre approfondito nel corso dei 17 mesi trascorsi ad allattare il primo figlio e dei 13 mesi per il secondo.
Niente però mi aveva preparato allo strazio che sto vivendo nella disperata impresa di togliere definitivamente la poppata al seno al  mio piccolo diavoletto.
 Notti insonni, urla disumane, singhiozzi e isteria.  Il mio tenero angioletto sembra uscito dal film  "L'esorcista". Non so descrivere il vuoto che sento dentro vedendolo in quello stato.
 Erano già un paio di mesi che provavo a diminuire le poppate, ma chi ha allattato al seno sa bene che è il bimbo a dettare legge. La mamma è in totale balia dei suoi bisogni e le richieste finiscono per diventare infinite. Ci si ritrova continuamente con le tette al vento a cercare disperatamente di saziare una sanguisuga.
Dentro me ho sentito nascere e poi crescere, il bisogno di dare un taglio a tutto questo esibizinismo. Scherzi a parte, pare che non arrivi mai il momento giusto. questo non lo scrivono nelle riviste per neo mamme. Non lo menzionano nei programmi educativi né lo dice lo staff medico che ti segue subito dopo il parto.
Ci si preoccupa, non a torto è ovvio, di informare le future mamme su come attaccare il proprio bimbo al seno sui vantaggi del latte materno, rispetto a quello artificiale ma nessuno ti dice come allontanarlo dalla tetta senza provocare traumi.
Come già dicevo, io ho provato per mesi a "disintossicarlo" dal capezzolo e solo col taglio netto sto riuscendo nell'impresa, ma quanto mi costa!. Le notti trascorse ad ignorare le sue richieste disperatee il suo pianto supplichevole mi portavano a visualizzare nella mente un'insegna luminosa che diceva " TRAUMA DA ABBANDONO".
 Volevo tapparmi le orecchie e fuggire via piuttosto che stare a guardare inerme quel visino, bianco slavato, chiazzato di rosso per il pianto, col moccio al naso e le guance bagnate da un mare di lacrime. Chissà se tutto questo lo pagherò quando, ormai grande, andrà dall'analista e tornerà a casa incavolato nero accusandomi di averlo scioccato. La verità è che sarei davvero lieta e molto più tranquilla se qualche esperto si prendesse la briga di scrivere un manualetto da consegnare alla neo mamma insieme alla culla col neonato, all'uscita dall'ospedale. Un libretto di istruzioni su cui campeggi questa scritta " FRAGILE, MANEGGIARE CON CURA" leggere attentamente il foglio illustrativo.    

martedì 2 novembre 2010

un pacco d'amore

come non innamorarsi di questi paffuti piedini?....grazie Anne per la serenità che raggiungo guardando i tuoi lavori!